Ovvero l'evoluzione moderna del cittadino di Fiumicino

giovedì 12 agosto 2010

L'Italia "perde le teste"...

Quando sono stato nella mia terra natale recentemente, è venuto a salutarmi il figlio maggiorenne di un mio concittadino. 
Gli ho chiesto: "Studi?" 
Ha risposto: "Certo." "Dove?" "A Milano." 
"Perché non qui?" 
E suo padre: "Perché qui non abbiamo nessun maestro." "Perché nessuno? Infatti interesserebbe molto a voi, che siete padri che i vostri figli studiassero principalmente qui. Dove infatti o vivrebbero con più piacere che in patria o si tratterrebbero più dignitosamente che sotto gli occhi dei padri o con una minore spesa che a casa?
Inoltre io che ancora non ho figli, sono pronto a dare in favore della nostra repubblica, come per una figlia o una madre, la sua terza parte di ciò che a voi sembrerà opportuno pagare. Si educhino qui coloro i quali nascono qui e subito, fin dall'infanzia, si abituino ad amare il suolo natio e a frequentarlo."
(IV,13 dell'Epistolario).

Un dialogo odierno tra genitori preoccupati per le scelte scolastiche dei propri figli? Nient'affatto. 
Si tratta di uno scritto che Gaio Plinio Cecilio Secondo, detto "Plinio il Giovane" scrittore e senatore romano invia al suo amico Publio Cornelio Tacito, considerato uno degli storici più importanti dell'antichità, vissuti entrambi nel periodo dell'Imperatore Traiano.
Tema quanto mai attuale, quello espresso dai due celebri personaggi. Già 2000 anni fa Plinio il Giovane faceva presente l'importanza di avere una buona scuola nella propria città (Como, sua città di origine), senza per forza farsi attrarre dai richiami della grande città (Mediolani). 
Evidentemente l'argomento ha radici lontane e profonde. 
Se si aggiunge a ciò “l'emigrazione d’élite”, la fuga all’estero cioè di migliaia di laureati, che riescono a trovare oltre confine un lavoro qualificato e ben retribuito, allora possiamo ironicamente dire che l’Italia continua a “perdere le teste”. I cervelli in fuga, non ne vogliono sapere di tornare a casa: più di metà dei laureati italiani che vivono e lavorano con successo all’estero non considerano come probabilità concreta quella di tornare nel Belpaese.



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